Nel 1084, vicino a Grenoble, Bruno di Colonia fondò il famoso ordine certosino. Da allora, solo 272 monasteri certosini sono stati edificati in tutto il mondo e uno di questi si trova in Val Senales. Se non è questo un motivo per farvi visita...
Ancora oggi, la Val Senales si mostra selvaggia a chi vi entra: ripida a sinistra e a destra, impone a chi la risale un passo lento. Quanto doveva essere inaccessibile questo luogo quando l’abbazia di Allerengelberg fu fondata nel 1326, nell’attuale paese di Certosa? I certosini cercavano deliberatamente questo isolamento: si ritiravano in monasteri remoti, pie fortezze in cui cercavano Dio nel silenzio, nella solitudine e nella preghiera. Mentre altri ordini cristiani si dedicavano alla vita delle comunità, curavano i malati o educavano i bambini, i certosini vivevano come se fossero “morti nel mondo”.
Dopo 20 minuti di viaggio, metto le chiavi della macchina nella tasca della giacca e do un'altra occhiata al mio cellulare. Il segnale è scarso: una tacca, due tacche e viceversa. Alzo le spalle: meno prende il telefono, più libera è la mente. Un autobus aspetta alla fermata, nessuno scende, nessuno sale. Scivolo attraverso una porta e mi ritrovo nella piazza del villaggio. Non c'è un'anima in vista, e il silenzio che si è impossessato di molti centri nei giorni della pandemia dà probabilmente un'idea di come doveva essere tranquillo l’Allerengelberg secoli fa. Senza accorgersene, a Certosa ci si trova nel cuore del complesso monastico. Passo davanti a un gruppo di figure impressionanti, che dominano la piazza del villaggio: una processione oscura di monaci, uno dei quali guarda direttamente l'osservatore, portando in mano la scritta “Memento mori” – ricordati che devi morire. Una brezza spazza la piazza, anch’essa silenziosa.
Entro nel chiostro e mi sento come se fossi fuori dal tempo: non ci vuole molta immaginazione per figurarsi i monaci in bianche vesti camminare sotto il porticato. La quotidianità dei fratelli era strettamente regolata e il silenzio era fondamentale. Parlare era permesso solo per la preghiera e la messa – e per offrire consolazione ai moribondi. Anche se i monaci formavano una comunità, ognuno viveva in solitudine: appartati in piccole case, le cosiddette “celle”, ognuno si dedicava alla preghiera, allo studio e a un mestiere. Anche i magri pasti, sempre senza carne, venivano consumati in isolamento. Sbircio attraverso una delle feritoie attraverso le quali il cibo di ogni monaco veniva spinto nella cella: anche queste erano costruite in modo tale che il piatto dovesse “girare l’angolo”, in modo tale da precludere persino il contatto visivo tra i fratelli.
Le celle dove i monaci una volta sprofondavano nella contemplazione sono ora appartamenti. Su un gradino c'è un pacchetto di un noto shop online, su un'altra porta è appesa una ghirlanda decorativa. Guardo a sinistra attraverso le finestre ad arco, nel cortile interno del chiostro, che ora è un prato e un tempo serviva come cimitero del monastero. Un’aiuola appositamente allestita dà un'idea di quali erbe venivano coltivate nel monastero e quali proprietà curative hanno. Rimango a osservarla per un po' e rifletto sui saperi antichi. Penso a mia nonna, che individuava erbe e piante ovunque. Quando una volta le chiesi come faceva a ricordarli tutte, mi guardò desolata, come se pensasse tra sé e sé: che cosa è diventata l’umanità.