La Belle Époque. Cosa la affascina così tanto?
Patrick Rina: La belle époque di Merano mi affascina perché la Merano di oggi deve molto ai personaggi lungimiranti di quel periodo storico. Gli anni incastonati tra il 1870 (primo soggiorno dell’imperatrice Elisabetta d’Austria in città) e il 1914 (inaugurazione del nuovo Kurhaus) sono paragonabili a un incubatore di modernità: Merano grazie ai lampioni a gas (1873) e all’elettricità (1898) s’illuminò d’immenso. Il fischio del vapore delle locomotive, lo sferragliare dei tram e il gracchiare dei grammofoni cambiarono la colonna sonora della quotidianità. Quegli anni furono “l’età del nervosismo” (J. Radkau), al contempo fu “inventato” il tempo libero. Merano divenne una località di soggiorni curativi, un luogo frequentato dall’élite in cerca di riposo, una città consacrata alle benedizioni mediche del tempo. Merano era per certi versi una “montagna incantata” di memoria manniana. Poiché la principale terapia praticata a Merano era la cura dell’uva, possiamo forse parlare scherzosamente di un “vigneto incantato”.
Ci può raccontare qualche curiosità sulla storia di Merano?
Mi viene in mente l’allegro corteo dei macellai (“Schloaf-Eva-Umzug”). Il padre benedettino e storico Beda Weber racconta che i macellai di Merano portavano per le vie della città un novello membro della loro corporazione aggrappato a un bastone decorato con code di vacca. Infine venne gettato in una fontana. Da lì poteva schizzare acqua sui passanti utilizzando le code di vacca. C’è un altro aneddoto: nell’Ottocento un musicista volle dedicare una polka all’arciduchessa Gisela, figlia dell’imperatore Francesco Giuseppe d’Austria e dell’imperatrice Elisabetta. Poiché la Corte non gradì questo affatto musicale, il compositore fremente d’ira “decapitò” alcune siepi di rose sulla Passeggiata d’inverno e gettò delle panchine nel Passirio. Forse “l’oppio della spensieratezza (C. Magris) di un’operetta leggiadra gli avrebbe fatto bene!
Esiste una Meranese “tipica”, un Meranese “tipico”?
Noi meranesi siamo il prodotto di numerose migrazioni. Già intorno al 1300 in città esisteva una minuscola comunità italofona, pensiamo solo alla presenza del monetiere forentino Beliotto. Con l’avvento del turismo nell’Ottocento arrivarono tanti forestieri. Come ricorda lo storico del turismo ed ex sindaco di Merano Paul Rösch, sono stati i forestieri a plasmare la città, portando sulle rive del Passirio l’irresistibile fascino internazionale. Non esiste “il” o “la” tipica meranese: siamo fatti a mo’ di cipolla, ogni strato è una storia. Noi meranesi ci sentiamo a casa sia nella cultura austro-tedesca sia in quella italiana. Merano è – senza voler tessere un panegirico – un piccolo crocevia di grandi culture nel cuore dell’Europa. Di più: la nostra Merano è un’emozione.
Dove andare nella Primavera a Merano?
Sulla Passeggiata Tappeiner! Questa bella passeggiata con vista panoramica è come un diadema che sovrasta Merano. Il primo tratto fu finanziato e donato alla città da Franz Tappeiner, una delle figure più importanti della belle époque di Merano, ovvero di quel periodo a cavallo tra la fine del secolo XIX e l’incipit del secolo XX, in cui Merano da Cenerentola indebitata si trasformò in una damina aggraziata.
Insieme ad altri visionari, Tappeiner fu un fautore del turismo curativo, avendo sempre a cuore la salute pubblica dei cittadini. Quando nel 1855 divampò un’epidemia di colera, egli scrisse un appello per fornire alla popolazione informazioni utili e basate sull’evidenza scientifica. Tappeiner coronò la sua vita con la realizzazione della passeggiata a lui intitolata. Questa passeggiata nacque come percorso per la cosiddetta Terrainkur: una terapia fisica da praticare su vie dolcemente inclinate per curare l’obesità e i problemi circolatori.
Il suo luogo preferito a Merano qual'è?
Villa Freischütz a Maia Alta! L’edificio nato agli albori del Novecento ospita oggi una casa-museo che racconta l’affascinante storia della famiglia Fromm. Franz Fromm, un commerciante di vino prussiano attivo in Catalogna, era un appassionato collezionista d’arte. Dopo la morte della moglie si trasferì a Merano e agli inizi degli anni Venti acquistò Villa Freischütz, in cui opere d’arte, minuterie e cimeli da tutto il mondo celebrano ancora oggi il cosmopolitismo di Merano. Un altro luogo che oserei chiamare un mio buon ritiro è la Passeggiata Gilf, che Luigi Bartolini nel suo romanzo “Vita di Anna Stickler” (1943) descrive così: “Il paesaggio era, come quelli di Altdorfer, fantastico e pauroso. Rocce illuminate di traverso dal sole, tra verdi fantasmagorici; luccicori e spume di acque. Picchi fra cieli e nebbie. Alberi chiomati, antichi, secolari. Un culmine incastellato.”
Cos'è totalmente sottovalutato a Merano?
Le bellezze di Maia Bassa – del “mio” quartiere – vengono spesso ignorate. Maia Bassa purtroppo è fagellata dal traffico, tuttavia è ricca di cultura. Il grazioso quartiere delle ville situato tra via Roma e via Winkel è una testimonianza del tempo in cui Maia Bassa era un giardino rigoglioso e ridente. Il più grande tesoro del quartiere si trova in una chiesa che sfida i futti del traffico stradale con impassibilità stoica: la chiesa affrescata di Santa Maria del Conforto è una piccola Bisanzio!
In quale epoca, oltre a quella attuale, le sarebbe piaciuto vivere a Merano?
Certamente nel tardo Ottocento. L’idea di vagare per Merano da elegante fâneur pensosamente ripiegato su sé stesso ha il sapore agrodolce di un’illusione sociale. Con più probabilità sarei stato un manovale in uno dei tanti cantieri, oppure un burbero tranviere o un garbato facchino. Da “proletario” mi sarebbe stato negato l’accesso ai circoli illustri della città. Forse mi sarei avvicinato al movimento sindacale o al partito socialista già attivo in città. Nei libri troviamo solo i nomi dei “padri della città”, degli architetti, artisti e imprenditori edili. I lavoratori che hanno costruito i fastosi alberghi, le ville e il Kurhaus di Merano formano una schiera di anonimi. Parafrasando le “Domande del lettore operaio” di Brecht, potremmo chiederci: “Dove andarono, la sera che terminarono il Teatro civico, i muratori?”.
Quale personalità meranese avreste voluto portare a fare il bagno nel Passirio?
Magari con Bernhard Mazegger padre. Nacque nel 1798 in Alta Val Venosta e studiò medicina a Vienna e Padova. Egli riconobbe la favorevole posizione climatica di Merano e dal 1840 gestì il Freihof, il primo grande albergo della conca meranese. Questa struttura era nota per la terapia dell’acqua fredda. Vorrei tuffarmi nel gelido Passirio con Mazegger per trovare una risposta a una domanda che mi tormenta da tempo: quale acqua è più fredda – quella dei bagni di Mazegger o quella del Passirio?
Con chi le sarebbe piaciuto filosofeggiare in un bar?
Sicuramente avrei voluto chiacchierare con i due medici Franz Tappeiner e Raphael Hausmann. Il primo portò a Merano la già menzionata Terrainkur, il secondo si dedicò allo studio della cura dell’uva. Mi sarebbe piaciuto parlare delle loro idee per il futuro di Merano. Questi pionieri del turismo curativo erano dei veri visionari. Quali dei lori progetti sono effettivamente stati realizzati? Da quali idee potremmo attingere ispirazione noi postmoderni? Il “futuro passato” (Koselleck) sa essere galvanizzante!
Cosa le piacerebbe far vedere a Kafka oggi?
Lo porterei a visitare le Terrazze sul Passirio per provare a “curare” la sua idrofobia. In una lettera alla “sua” Milena Jesenská del maggio 1920, Franz Kafka scrive: “Lei è molto particolare, Signora Milena, vive là a Vienna, deve sopportare questo e quello e ha anche tempo di meravigliarsi che altri, per esempio io, non stiano particolarmente bene e che ogni notte dorma un po’ peggio del precedente. Le mie 3 amiche di qui (3 sorelle, la più vecchia ha 5 anni) avevano una concezione più ragionevole, volevano a ogni occasione, che fossimo o meno presso il fume, gettarmi in acqua.” (trad. italiana in: Franz Kafka, Lettere a Milena, Giuntina 2019). Se già allora ci fossero state le Terrazze sul Passirio, Kafka sarebbe forse scivolato nelle onde con dolce rassegnazione, burlandosi così delle bambine.
Cosa le piace di più come guida turistica?
Amo interagire con le persone. Una guida turistica deve saper trasmettere emozioni per far entrare i suoi ascoltatori nell’atmosfera del passato. Ogni epoca storica ha un suo genius temporis, una sua anima e anche un suo subconscio da indagare. Se noi oggi scorgiamo il gigantesco Cristoforo raffgurato sulla parete esterna della Chiesa parrocchiale di San Nicolò, non proviamo le stesse emozioni che proprio quella immagine poteva suscitare in uno spettatore del tardo Medioevo. Per gli uomini di quel tempo San Cristoforo proteggeva dalla mala mors, la morte improvvisa e impenitente. La storia non è una semplice sequenza di eventi posizionati lungo un’asse temporale, è piuttosto come un “giro di giostra” descritto da Tiziano Terzani: la storia è un cammino che può condurre al nostro Io.
La Top-five, che secondo lei dovrebbe ancora arricchire Merano tra 100 anni?
La vocazione alla tolleranza e al cosmopolitismo
L’amore per la cultura delle meranesi e dei meranesi
L’ospitalità elegante di questo balcone mitteleuropeo volto a meriggio
La cura del verde pubblico e dei giardini privati
Il coraggio di cogliere il valore arricchente dei cambiamenti